La notizia, purtroppo, è clamorosa: negli ultimi cinque anni (almeno), numerose Amministrazioni comunali hanno “gonfiato” in maniera del tutto illegittima la Tari (la c.d. Tassa sui rifiuti), pretendendo dai propri cittadini il pagamento di una tassa quantificata in assoluta violazione delle disposizioni di legge vigenti in materia.
Vediamo, dunque, di fare un po’ di ordine.
La Tari, prevista dalla Legge n. 147/2013 a partire dall’anno 2014, è stata introdotta con la finalità di finanziare il servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti. La tassa è dovuta da chiunque possieda o detenga – a qualsiasi titolo – locali o aree scoperte che risultano idonee alla produzione di rifiuti (in caso d’immobili, la tassa è dovuta dall’inquilino).
La Tari, che unitamente all’Imu e alla Tasi costituisce la Iuc, è composta da due parti: una “fissa” e una variabile. La parte fissa è direttamente proporzionale alle dimensioni dell’immobile oggetto di tassazione.
La parte variabile, invece, cresce in relazione al numero dei membri della famiglia.
Sta proprio qui l’errore commesso a danno dei cittadini: la Tari andrebbe, infatti, calcolata una sola volta sull’insieme di casa e pertinenze immobiliari (ovvero posti auto, cantine, soffitte, box), secondo il numero dei componenti del nucleo familiare. La legge, infatti, vieta di tassare più volte le pertinenze ai fini del calcolo complessivo, che dunque andrebbero prese in considerazione una e una sola volta nella determinazione di quanto dovuto da parte dei cittadini.
Purtroppo le cose non sono andate esattamente così: nel corso di una audizione alla Camera dei Deputati, infatti, è emerso che numerosi Comuni italiani avrebbero maggiorato la Tari, moltiplicando la parte variabile tante volte quante sono le pertinenze dell’abitazione, tassando – di fatto – un numero esponenzialmente maggiore di pertinenze, rispetto a quelle effettivamente possedute dal cittadino. Naturalmente tale modus operandi è illegittimo.
Il problema, dunque, esiste. Fortunatamente, però, esiste anche una soluzione: è possibile infatti agire sia in via amministrativa che in via giudiziale, contro il proprio Comune di appartenenza, richiedendo l’annullamento di eventuali atti impositivi o comunque il riconoscimento di un rimborso della maggiore quota illegittimamente corrisposta, qualora sia stato già effettuato il versamento della tassa non dovuta.
Attualmente i Comuni “ufficialmente” colpevoli sono Milano, Genova, Ancona, Napoli, Catanzaro e Cagliari, ma il sospetto è che il fenomeno possa coinvolgere numerose altre Amministrazioni comunali sparse per l’Italia.
Proprio per tale ragione, è possibile inviarci una email all’indirizzo info@studiolegalemessinaepartners.com, con allegati tutti i documenti ricevuti da parte del Comune impositore. A seguito di una verifica sarà possibile determinare l’eventuale sussistenza di irregolarità e, di conseguenza, agire in modo tempestivo per la tutela legale dei propri diritti.
Avv. Claudio Messina